Mi piego sotto una scala coperta di drappi colorati. Abbandono un salone punteggiato di nero. Mi allungo accaldato su una poltrona slabbrata. Poggiato sullo schienale chiudo gli occhi. Respiro. Osservo sospeso l’ipocrisia, sorrido sospirando tranquillità. Non voglio comportamenti plastificati di persone finte, imprigionate dalla superficie. E completamente assenti da profondità nascoste. E’ tutto così farsesco sotto gli innaturali bagliori notturni. Mi sono fatto sviare dall’artificio di un disegno. Eppure non mi sono lasciato conquistare del tutto. Voglio continuare a vedere atti di derisione senza parteciparvi. Voglio invecchiare senza provare invidia. Voglio una purezza ancora non posseduta. E gioire per sempre.
Archive for January, 2011
Frammenti di discorso. Se non bisogna ripetere gli errori del ’94, quando la Sinistra e il Centro si presentarono divisi contro Silvio Berlusconi e persero, perché oggi non dovrebbero servire coalizioni eterogenee? Perché ogni riedizione dell’Unione sarebbe votata alla sconfitta? Se non bisogna mai smettere di cercare e promuovere l’unità sindacale, perché il Partito Democratico ha sostenuto un referendum che implica l’estromissione della FIOM dalle fabbriche? Io non ci casco. A me pare che Walter Veltroni abbia le idee poco chiare. Su una sola cosa sono d’accordo: abbiamo bisogno di un progetto credibile. Ma allora, perché non cominciare ad essere coerenti?
->ChrisGoldNY – View from the Roof of Le Meridien Lingotto Hotel<-
Il sangue ha spogliato la notte. Intingoli e fumi rigano le pietre. Mangiamo pane annerito, carne sepolta d’argento. E’ musica grassa che cola dal piatto. Silenzio colorato dalla leggerezza di una menzogna. La tavola mostra impietosa piccoli vizi. Si regge sulla dignità di cameriere dal viso delicato. Studentesse costrette a prostituire la mente. I loro sorrisi non conoscono diritti. Sono l’argine all’ipocrisia di chi le sfrutta. Il conto sale a tre cifre. La ricchezza è ignoranza. E tu non ci pagheresti un euro di tasse. Coraggio, voglio uno scontrino fiscale. Ma non dirmi a chi davvero appartiene il tuo locale.
Ricordo una piazza ricolma, stremata di attesa. Teste mosse da giorni in conflitto. Tenute insieme da una stessa debolezza. Vestivano bene, avevano capelli ossigenati. Si nascondevano dietro lenti griffate. Era la disperazione a muoverle. La voce le spogliava di una posticcia esteriore sicurezza. Al cospetto dei padri mostravano infinita inconsistenza. Uno smarrimento svuotato di identità. Si erano raccolti inermi. Io ero in mezzo a loro, stavo dalla stessa parte. Ma ripetevo a me stesso che senza una cultura nuova nulla sarebbe cambiato. Così ora lo temo. Quando il tiranno sarà caduto si divideranno. Soffocati dalle pochezze che già lo scelsero.
Ogni tanto, qualcuno se ne ricorda. Scuote la polvere che ci copre e svela il valore autentico. La fermezza delle opinioni. Il disgusto per la mediocrità. L’ossessione di sapere. La cinica onestà del prevedere. La spietata considerazione delle alternative possibili. L’urgenza di dare un futuro vero a chi è giovane. L’umiltà di chi cerca. Ieri l’Università di Pisa ha conferito una laurea honoris causa a Luciano Gallino. Nella sua città vive da esule, inascoltato profeta degli scenari che abbiamo dinnanzi. Mentre aspiranti tribuni si pavoneggiano fra folle artefatte, lui sale solitario su un tram. Sognando con fierezza un mondo migliore.
Respiro speranze inquinate da un mito perfetto. Innaturalmente invecchiate in una immutabile differenza. Uccido i deboli desideri di ieri. Soccombo al pensiero scrutando un volto estraneo. Io non sono. Io non vado in alcun luogo. Avverto soltanto uno sbattuto spostarsi da un’azione all’altra. Senza avere il tempo di riflettere su me, sulla illusione di un senso. E’ il nomadismo di questa era, affascinante e spaventoso, privo di bisogni veri. Non gioverebbe cercare una fuga impossibile; così preferisco sognare di distruggere lo schermo, sfidando la stanchezza e l’incubo. Devo lottare con disperazione per conquistare attimi di disincanto. Frammenti rubati di contemplazione.
La città soffoca nel traffico. Ammutolisce assordata da se stessa. Si sbriciola scorrendo grigia lungo un pezzo di plastica. E’ una tempesta di indizi inconsistenti. Li raccolgo senza consapevolezza. Sono delicatamente dispersi in una sopita assenza di significato. Vegetazioni di cemento sconvolgono azioni semplici. Sputano su un asfalto immemore. Voci allegre si arrampicano schiamazzando su ornamenti di pietra. Lambiscono cinicamente tracce consunte di secoli perduti. Sono prive di rispetto alcuno. Razze inconsapevoli e immemori si incontrano miste di diversità ostili. Incapaci di reciproca solidarietà. Unite soltanto nella forzata volontà di combattere e distruggere l’opprimente monotonia della tradizione. Non si fermeranno.