Ripensateci
Se è per ragioni fiscali che la FIAT si appresta a trasferire la propria sede negli Stati Uniti – il dubbio è dovuto – ciò significa che si è perso completamente il senso di appartenere ad una comunità. Agli albori dell’industria, pur affondando le mani nel paternalismo, gli imprenditori disponevano di questa fierezza. Fare soldi significava far crescere il territorio. Svilupparlo per creare ricchezza da redistribuire localmente, almeno in parte. Oggi pare che non sia più così: si investe alla cieca, puntando il denaro su una roulette. Ma è proprio questo che segna la differenza fra essere industriali ed esser finanzieri. Ripensateci.
->Smallmind – Fiat 600D 1965 #01<-
Non vorrei rovinarti l’aspetto romantico della cosa (imprenditorialità come senso di appartenza a una comunità), ma io non ci ho mai creduto. Un padrone è un padrone. Nient’altro.
Comprendo il tuo punto di vista, @rouge. Lo condivido, riconoscendo che è assurdo negare l’esistenza di un conflitto sociale, così come partiti e sindacati – quasi tutti – fanno ormai da molti anni. E’ proprio riconoscendo che gli interessi del capitale e del lavoro sono diversi, infatti, che si può costruire un sistema che funzioni. Detto questo, temo che qui il rischio sia addirittura quello di perderlo, un padrone. E di restare imprigionati in un capannone vuoto. Una speranza mi resta: che accanto all’auto nascano a Torino imprese nuove in settori nuovi. Ma per ora, seppur preziosa, è solo una speranza.
Non so @rouge se ciò possa considerarsi sempre vero. Anche Adriano Olivetti era un padrone ma non ha solo puntato axc vl profitto e con lui, mi vien da aggiungere, anche la Fiat di Valletta che per quanto criticato fece costruire case, centri sportivi, colonie per bambini e anziani e persino l’assistenza sanitaria Fiat, a quell’epoca, era infinitamente migliore di chi fruiva della semplice INAM.