Archive for March, 2011

Prima di soffocare

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Giovanni si ammazzò. Una malattia, un amore sbagliato. Aveva abbandonato la moglie, era scappato con l’ombra di se stesso. Insomma, non era riuscito a continuare la commedia. Ora lo ricordo sorridente. Fermo in una volgare ironia. Dissacrava la polvere del tempio borghese. Allora ero un giovane garzone, lui un sagace cialtrone di mezza età. Guardavamo signore ripiene di denaro appoggiare il culo su poltrone di pelle finta. Lui sudava, grondava come una fontana. Io no, mi trastullavo col nodo di una cravatta. Giovanni, poi, ci si volle sgozzare. Ora mi chiedo se riuscirò a togliermela in tempo. Prima di soffocare.


Peggio di Mussolini

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Chiamiamola col suo nome. Questa guerra ci lacera. Divide gli amici, fa discutere fino a notte fonda. Tuttavia, è meglio che restare in silenzio. Sabato mattina non avevamo dubbi: un intervento era necessario, per fermare i carnefici di Bengàsi. Oggi siamo tutti titubanti, vittime del rapace multicomando alleato. Senza zio Paperino, Qui Quo e Qua gareggiano per la caramella più grossa. E’ chiaro che Francia e Inghilterra hanno interessi economici. Ma riuscite a vedere alternative a un intervento militare? L’Italia, poi, è una marionetta impazzita. Peggio di Mussolini. Allora, per chi suona la campana? Temo che Daniel Cohn-Bendit abbia ragione.


Sono rutti di dignità

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Che significato hanno i fischi? Sono rutti di dignità. Esplodono nell’indigesta libidine di uno stanco cartellone elettorale. Rispondono agli schiaffi dell’ignoranza con la gentilezza di un sussulto. Diventano assordanti solo se sono molti. Non offendono, difendono. Il solo peccato è per chi non sa accettarli. E non capisce: che la libertà si esprime con la propria presenza, con un gesto critico. Mettiamoli tutti insieme, questi irrequieti singulti di giustizia. Chiudiamoli in un otre. Liberiamo un vento che li lasci tutti in mutande. Perché possano contemplare la pochezza del deserto morale in cui ci hanno sprofondati. E rifiutiamo la violenza, sempre.


Impossibile uscir di gabbia

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I centri commerciali sono tombe. Vi entriamo il mattino presto, nascondendoci dalla pioggia. Avvolgono in una irreale atmosfera di costante evasione. Appoggiano una artificiosa colonna sonora alla vita. Sfavillano di cosce e culi. Ci osservano sotto pelli abbronzate. Offuscano l’ignoranza di giovani sfuggiti ai nudi banchi di scuola. Regalano l’illusione di non essere esclusi. Conservano copie di libri ridotti a semplici oggetti. Accarezzano anonimi uffici. Contengono frustrazioni accumulate di giorno in giorno. Impongono al volgo la religione della merce. Assegnano a ciascuno un ruolo. Sono teatro di liti e fughe d’amore. Soffocano tutti in un esperimento. Impossibile uscir di gabbia.


Oggi, come nel ’43

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E’ Torino la vera capitale morale d’Italia. Si incarna negli operai disoccupati, nelle impiegate discriminate, nei ricercatori squattrinati, negli artisti ridotti alla fame. Lo hanno dimostrato in questi giorni, per come hanno saputo accogliere il loro Presidente. Hanno tutti compreso che dobbiamo raccogliere la speranza, guardare avanti. Proprio perché se i problemi non si nascondono diventano la forza del cambiamento: progresso, innovazione. Solidarietà, libertà, giustizia. Alessandro Galante Garrone oggi sarebbe fiero di noi. Certo, ci manca ancora un elemento essenziale: una classe dirigente degna di questo nome. Ma il futuro riscatto è nello sguardo dei giovani. Oggi, come nel ’43.

Italia, scuola d'integrazione 1861|2011

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Suonava il primo delirio

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La pioggia lava la speranza. Rigenera la resa. Consumo il cuore in vano. Un gesto abolisce la sofferenza. Impossibile piangere. Frammista immemore oscurità. Conato sepolto. Morta illusione. Simmetria divina. Attesa, invocazione. Ali larghe. Metamorfosi. Volto di pietra. Sconcerto. Artificiosa disillusione. Calunnia. Sublime sfogo. Diverse, successive. Incomunicate volgarità del mondo borghese. Esausto rimpianto. Ricordo sbiadito. Assillante disegno. Meravigliata devianza. Incontro solitario. Sbiadita luce. Ramingo esilio. Legno duro. Grandezza intangibile. Orizzonte impercorribile. Godimento infinito. Nomadismo astratto. Senso incontrastabile. Regale lutto. Volgare irrequietezza. Dubbio caduco. Finta follia. Intempestiva volontà. Irriconoscibile costellazione. Quiete metropolitana. Suonava il primo delirio. Poi veloci sono passati gli anni.


Temo e dispero atterrito

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Avevo promesso di non farlo. Ma devo rimettere il capo dentro la televisione. Ritorno nel vecchio quartiere di periferia. Cerco Mazinga Zeta. Soltanto in un cartone animato si può pensare di spegnere un incendio pisciandoci sopra. Dove è l’esercito? Dove è la lega planetaria? Dove sono i robot? Non vedo più nulla. L’antennista si è addormentato in un soffio di acquavite. Lo schermo è sempre più buio. Temo e dispero atterrito. Ora che tutti brancolano nel buio. Mentre i nipoti degli avieri di Hiroshima e Nagasaki tornano per salvare Fukushima. Abbiamo bisogno di eroi. Non perdere il coraggio. Forza, Giappone.