Ci ribelleremo troppo tardi
Tuesday, April 19th, 2011 - 01:23 - Rotte Ciminiere
Ci fanno cadere uno a uno. Abusano del nostro sapere. Si leccano le dita coi nostri pezzi di carta. Ci illudono con fantasmi di ricchezza e potere. Ci lusingano con apprezzamenti interessati. Fingono di invidiare la nostra presunta giovinezza. Non si curano dell’onestà. Sanno che ci obbligherà a fermarci proprio quando loro saranno pronti. A raccogliere il frutto della nostra fatica. A sfruttare il sudore della schiena altrui. Dopo Ernesto, anche Renzo ora accusa il colpo. Non resterà senza lavoro, ma ha consumato la salute per ingrassare i porci che si apprestano a farlo a pezzi. Ci ribelleremo troppo tardi.
ma soprattutto: ci ribelleremo?
Ciao @rem. Questa mattina mi ha colpito un post su Cronache Tauriniche: “Gente che viene, gente che va.” In poche righe, il suo autore – Rouge – accosta due storie apparentemente divergenti: quella degli immigrati che cercano di entrare in Italia e quella di due giovani avvocati che per dare un senso alla propria vita precaria partono per raggiungere l’Australia in scooter.
Credo che il punto sia proprio questo: se non ci ribelliamo alle ingisutizie, è perché siamo assueffatti ai soprusi. In questo senso, l’immigrato e il viaggiatore hanno molto in comune: entrambi sono infatti obbligati, o si obbligano, a guardare le cose in modo diverso. E’ da qui che dovremmo partire, dall’identificarci con chi ci guarda da fuori e vede negati i propri diritti. La televisione ci spinge a guardare gli immigrati come altro da noi. Eppure, probabilmente sono lì le risposte che stiamo cercando.
La rivoluzione, forse, dovrebbe essere in primo luogo una trasformazione culturale: spingere le persone a guardarsi con occhi diversi, a giudicare i propri comportamenti rompendo abitudini ataviche. In questo gioco di osservazione a distanza penso che gli architetti, in particolare, siano più avvantaggiati degli altri. Nella misura in cui non si integrano nel sistema esistente, infatti, gli architetti conservano un istinto immediato di riscatto: non possono non vedere lo scempio senza denunciarlo. Ma questo dovresti dirmelo tu, non è così?
Recentemente ho sentito Carlo Infante parlare di come si ‘disinnesca’ il potere. Mi sembra un approccio interessante. Se il Novecento sognava la presa del Palazzo d’Inverno, credo che il nostro secolo dovrebbe puntare alla riconquista del pensiero libero. In effetti, le dittature – politiche, militari, culturali – nascono sempre da un esercizio viziato del principio di delega. E’ poco, ma forse sarà sufficiente: rifiutare di delegare ad altri il proprio pensiero. Il riscatto dovrebbe partire da questa pacifica riappropriazione, non credi?
In ogni caso, “Arichtetti Senza Tetto” mi pare un bellissimo ossimoro
caro Hassan,
Mi piace il tuo modo di pensare, di guardare agli altri come occasione di confronto prima di tutto con se stessi. Mi piace il modo in cui consideri i migranti come occasione di ripensamento di se stessi e delle proprie sicurezze.
Mi piace l’esercizio che proponi, di immedesimarci per un attimo in “altri”, per conoscersi meglio e capire le ragioni degli altri e quelle proprie.
Questo esercizio lo trovo utilissimo ma difficilissimo, tutto sembra dire che esistiamo solo noi, solo il nostro io, solo i nostri bisogni, solo il nostro egoismo, l’unica cosa che sembra esistere è legata ai nostri particolarissimi desideri e privilegi e ci dimentichiamo di quelli degli altri.
Eppure uscire dai propri desideri meschini è salutare, dovremmo dedicarci 5 minuti al giorno per resettare il nostro essere, un po’ come rimettere in orario l’orologio. Sai che ti dico, oggi ci provo, anche 5 minuti, forse è così che iniziano le rivoluzioni, da quelle interiori e personali.
Per quanto riguarda gli architetti, non denunciano proprio niente, altrimenti le nostre città contemporanee non sarebbero contraddistinte dallo squallore che le caratterizza. Al massimo cercano di fare bene il proprio lavoro, che è già tanto.
Una cosa, però, gli architetti ce l’hanno di positivo: una certa propensione a immaginare futuri migliori. Perché se c’è progetto, c’è per migliorare l’esistente, oppure non c’è proprio.
Un caro saluto
rem
L’idea di rimettere l’orologio in orario mi pare bellissima, @rem. Il mio rapporto ‘interstiziale’ con la scrittura, forse, è proprio questo. La tua immagine mi ha aiutato a prenderne coscienza.
Tu parli dell’esigenza di un progetto. Mi ricorda un bellissimo testo, che credo abbia riorientato la mia vita, molti anni fa. Si intitola L’esistenzialismo è un umanismo, ed è una conferenza di Jean-Paul Sartre che dice proprio questo: noi siamo il nostro progetto, null’altro.
Mentre la gola del fine settimana si apre, è da lì che provo a ripartire.
A presto
grazie per il suggerimento di Sartre. Ne ho trovato una copia e spero di riuscire a leggerlo (e comprenderlo, purtroppo in campo filosofico sono una schiappa).
rem