Archive for December, 2011

Non è un buon presagio

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Su Twitter, Marco Travaglio è oggetto di un linciaggio che lo vorrebbe “spaesato”, “odioso” e “cacaziretto”. Guardo la sua intervista a Lilli Gruber: non capisco. Un giornalista ha il dovere di mettere il dito nella piaga. Lo fa per professione; ne ha il tempo, i mezzi e le competenze. Marco Travaglio lo ha sempre fatto con onestà, documentando e argomentando ogni sua affermazione. Allora, delle due l’una: o Travaglio si è sempre sbagliato, o l’Italia è cambiata in una notte. Chi rinnega Travaglio lo fa nel modo in cui gli Italiani ripudiarono Mani Pulite nel 1993. Non è un buon presagio.


L’altra Torino esiste

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Parla di politica, non si arrende. E’ chiusa in piccole stanze. Legge, discute. Cammina sulle sue gambe. Ha voce rotta. Si ferma in pause silenziose. Prende freddo. Ascolta musica. Ha occhi giovani, capelli arruffati, denti bianchi. Veste male, ma è piena di dignità. Si sfoga negli spazi aperti. Corre fra detriti novecenteschi. E’ meridionale, ha fiero orgoglio. Tiene le braccia aperte. Non conosce le piccole ipocrisie del centro. Consuma le domeniche fra legni rotti nel fiume. L’altra Torino esiste. Non chiede nulla, accarezza l’alba colma di rispetto. Ogni giorno cambia, assume facce nuove. Respira nel deserto. E non si fermerà.


La Storia si ripete

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L’Ungheria scivola nella dittatura. La Storia si ripete. Per esserne consapevoli è sufficiente visitare la Casa del Terrore, il museo che il caudillo conservatore Viktor Orban ha dedicato alla memoria del Paese. Fin dalla porta di ingresso, la dittatura delle Croci Frecciate è identificata con la dittatura staliniana di Mátyás Rakosi. Identificare due dittature, entrambe crudeli, significa tradire le vittime dell’una e dell’altra. Generare confusione  ad arte. Col solo intento di fare emergere il presente come il migliore dei mondi possibili. L’Europa non può lasciare soli gli eroi del ’56. Non deve farlo l’Italia di Giorgio Perlasca. Servono sanzioni economiche, e politiche.


I figli dimenticano

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Quanto avvenuto all’Assessore Ilda Curti, all’Arcivescovo Cesare Nosiglia e a Don Fredo Olivero – messi all’indice da Stormfront per aver favorito l’integrazione degli immigrati – dimostra che il razzismo a Torino esiste. E non si può non riconoscere il significato politico di questo atto, a pochi giorni dal rogo del campo nomadi della Continassa. Ora le istituzioni devono rispondere in modo coerente e unitario. Un’occasione importante ce l’hanno già: dopo il mancato finanziamento ai treni della memoria, adesso devono salvare il Museo della Resistenza, della Deportazione, della Guerra, dei Diritti e della Libertà. Torino deve farne un luogo sacro. I figli dimenticano.


Mille euro al mese

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Ora non è importante chiedersi se abbia ragione Cesare Damiano o Pietro Ichino. L’articolo 18 non è tutto. Abbiamo bisogno di una riforma di sistema: ce lo dicono i giovani che non conoscono né il tempo indeterminato né il sindacato stesso. Ma una riforma ha bisogno di risorse. L’articolo 18 può essere abolito a due condizioni. Primo: tutela della libertà di espressione nei luoghi di lavoro. Secondo: istituzione di un reddito di mantenimento che spiazzi il precariato. Mille euro al mese. E per istituirlo, occorre ridistribuire la ricchezza, colpendo le rendite e l’evasione. Se dobbiamo essere danesi, allora diventiamolo fino in fondo.


Ha venduto il suo silenzio

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Nel Vangelo di Matteo, Giuda Iscariota riporta indietro il denaro ricevuto per tradire Gesù Cristo, ma i sommi sacerdoti che glielo avevano dato rifiutano di raccoglierlo:  ”Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue” (Matteo 27: 6). Il Consiglio Comunale di Casale Monferrato, invece, ha deciso di accettare l’offerta del magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Ha venduto il suo silenzio. In cambio, ritirerà la costituzione a parte civile nel processo sul caso Eternit, e non intraprenderà in futuro altre azioni legali. La morte di almeno mille e cinquecento persone vale 18,3 milioni di euro. Il caso Thyssenkrupp non ha insegnato nulla.


L’Europa vera

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Paul Krugman e Federico Rampini ci aiutano a capire due cose. Primo: i deficit dei PIGS sono cresciuti dopo l’introduzione dell’euro, grazie all’afflusso di capitali tedeschi. Secondo: Germania, Francia, Austria e Olanda stanno vendendo in massa i titoli di stato dell’Europa mediterranea. Se è così, l’Unione Fiscale targata Merkel e Sarkozy non ha futuro. Che ne sarà dei surplus commerciali tedeschi? Rivalutare non è possibile. La Cina insegna: comprare dollari non è possibile all’infinito. Dobbiamo concludere che la fine dell’euro è stata già decisa? Si può soltanto sperare che la politica rinasca dal basso: è ora di farla. L’Europa vera.

Gerard Stolk vers Noël - Europa in het nauw

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