Archive for March, 2012

Il molle fiato

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Accecata foga blu. Si stacca immobile da una parete. E’ un’attesa senza arrivo. Sbadiglia di paura. Mi racconta arcane dietrologie, ma lo fa in buona fede. Io mi rinserro in una forca storta. Copro di pezze la mia pelle esausta. E scivolo, oltre le mura. Su rotaie rincorse dai topi. Un vecchio mi guarda ebbro. Ha un respiro di muffa francese. Risalgo fra fari spenti. Le case finiscono, cadono in una mista boscaglia di stufe arrugginite. Materassi slegati, scheletri di vetro. Una freccia di fosforo si dimena nel buio. Sì, bisogna correre su due ruote per sentirlo. Il molle fiato.


La tortura di scrivere

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La verità, se esiste, è negli occhi di un uomo con cui hai consumato una bottiglia di vino. Non ha lingua, ma gusto. E’ l’intreccio inestricabile di ciò che la vita potrebbe essere, l’epilogo irrequieto di una scelta. La lealtà si conquista con un pezzo di pane. Il coraggio di farlo non si misura dietro a uno schermo: resta sul taccuino di chi guarda dal vivo il campo di battaglia. L’illusione consapevole di essere invisibile. Valerio mi ha indicato il cammino. La redenzione non è nel partire, ma nel fermarsi ad ascoltare. Il suo presupposto. La tortura di scrivere.


Profondità e riverbero

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#AlgebraTTT per #TTT04. Primo, la profondità vale più della superficie. Secondo, ascoltare crea maggior valore di parlare. Klout a parte, sto cercando di riflettere sulla natura di ciò che si condivide sui social network e, in particolare, su Twitter. Sono rozzi, non tengono conto della specificità dei contenuti; ma ho provato a costruire due indici. Profondità e riverbero. Per capire, bisogna studiare le buone pratiche: @tigella, @giulianopisapia, @lucatelese. Confrontandole, emergono tre stili diversi. La ‘curation’ non confligge con la produzione di contenuti: la integra. Curatore, leader e produttore di contenuti condividono una capacità fondamentale: saper dialogare con il proprio pubblico.


La parola disperata

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Ha ancora un senso, anche se ai più sfugge. Europa. La parola disperata. Barbara Spinelli, su Repubblica, la riecheggia con la violenza della verità: “Solo attraverso un governo europeo eletto e controllato dai deputati europei, ritroveremo la sovranità che gli Stati hanno delegato non perché rinunciatari, ma perché non la possiedono più.” E’ tempo di rimuovere gli steccati, riponendo le ideologie negli armadi del Novecento. Quando sorse, dopo la Seconda Guerra Mondiale, quest’idea non sembrava avere alcuna speranza. Oggi è l’unica, a resistere. I riformisti dovrebbero farne il solco su cui tracciare il futuro. Alla cultura il compito di riempirlo.


Gli operai esistono

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A Torino i marocchini sono circa cinquantamila. Delle loro vite non sappiamo nulla, o quasi. Siamo fermi allo stereotipo del vu cumprà leghista. Li avviciniamo ogni giorno, ma non ci siamo mai chiesti delle loro vite. Ieri cinque di loro sono finiti in ospedale con ustioni su tutto il corpo. Lavoravano allo smaltimento di rifiuti pericolosi in uno dei capannoni che lambiscono la morsa autostradale attorno alla città. La nostra mediocrità ci spinge ad aspettare un evento tragico per comprendere quanto è cambiata la composizione sociale della forza lavoro. E’ evidente che dobbiamo costruire nuovi diritti. Gli operai esistono.


Il loro turno

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Sull’articolo 18, Eugenio Scalfari ha colto tutta la sensibilità del problema: “La posta in gioco è la coesione sociale. I riformisti lottano per difenderla”. Perché è evidente che l’albero ha bisogno di essere scosso, ma il rischio è che le mele cadano senza che i rami producano nuovi germogli. Corruzione, burocrazia e criminalità organizzata fanno di un imprenditore onesto che investa in Italia un fallito. Al tempo stesso, trasformando il lavoro in un costo esterno e variabile, gli imprenditori italiani hanno finito per scaricare sui lavoratori stessi i limiti del nostro sistema produttivo. Giovani e precari aspettano. Il loro turno.


Lui resta

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Posso immaginare, non scrivere. Pereira vorrebbe si dicesse che Antonio Tabucchi fu un grande scrittore italiano, innamorato del Portogallo e del sangue disarmato di Lisbona. Monteiro Rossi no, lui vorrebbe raccontare che nel ventennio berlusconiano Tabucchi rimase una delle voci più indipendenti, intransigenti e libere del Paese. Lo fu con umiltà, secondo Monteiro Rossi: perché riuscì a costruire un esilio letterario in cui la realtà è ciò che dovrebbe sempre essere. La pace di un uomo che si ribella all’ingiustizia, e guardando lontano rinchiude la rivoluzione in una guerra alla punteggiatura. Ora che la nebbia comincia a diradarsi. Lui resta.

Paulo Amoreira - Silêncio

->Paulo Amoreira – Silêncio<-