Il ventre si gonfia di rabbia, non sa decidersi fra una direzione e l’altra. Si corrode all’alba. Rivomita cicche lungo i marciapiedi. E’ un ponte interrotto, un’insegna spezzata sopra i treni. Soffoca fra cappotti imbrattati. Risale umido le rotaie. Si scontra con uno scaricatore dal passo svelto. Non trova pace, se non sotto una volta di pietra. Si siede, aspetta che gli anni passino. Invecchia appassito violando i dogmi che declamava in passato. Si dissocia da se stesso. Combatte un conflitto irrisolto con la memoria. Ha bisogno di un disco rotto, per riapire lo spazio rubato. E ritrovare se stesso.
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Sono un ossessivo. Aggiusto oggetti, li riallineo e li tocco senza posa. Torno indietro, chiudo il gas e controllo l’acqua. Lo zerbino è diritto, il portaombrelli è perfettamente in asse con il buco delle scale. Le auto parcheggiate in divieto di sosta mi generano insofferenza, i cesti del supermercato vanno rimessi a posto. Non raccolgo le cicche, ma vorrei farlo. In bici insulto chi infrange il codice della strada. Perché sono un reazionario. Correggo virgole e punti, lavo i piatti e stiro. Devo avere tutto sotto controllo. Se non è così soffro. Ma è per questo, che sono sempre solo.
La lama taglia, e non dice. Ho ferito, e non volevo. Il cielo si rabbuia, le parole fuggono. Resta un vuoto silenzio. La contemplazione dei passi sbagliati. Volevo liberare, ho ucciso. Volevo essere, sono stato. Un cappello si muove sul muro, mi spingerà su un treno. Ma ciò che l’alba consuma il giorno non restituisce. Qualcuno vomita su me troppo distante. Bisogna fermarlo, il tempo. Alzarsi dal letto e spingersi nel buio. Rincorrere quella traccia dispersa, che ancora chiama. Vivere è consumare un fiotto di sangue: i significati non contano. Fanno smarrire i segni, io sono. Una corda spezzata.
Il mio doppio m’è uscito dal naso. Si è seduto al mio fianco in un giorno di festa. E’ un dramma invecchiato. Nasconde adipe fra chiassose risate. Ha abbandonato ogni impegno civile. Non ama, non crede. Compra e vende. Viaggia, ma non osserva. Lavora notte e giorno. Scrive documenti che non comprende. Raccoglie adulatori. E’ ricco, ma non è amato. Mi guarda con simpatia, prova pietà. Io lo abbraccio con compassione. Non posso detestarlo perché ne intravvedo la soffocata bontà. E’ ciò che avrei voluto essere. E’ ciò che talvolta fingo, di essere. Lui si alza di scatto, e fugge.
->Giampaolo Squarcina – Pianerottoli / #Landings 2<-
Cercai un significato nel suo seno. Dispensava parole immense. Rigoglieva di fresche voci. Era un canto disperso in remote distrazioni. Non sentivo simili gocce di luce da più di vent’anni. Il tempo trascorse immediato. Affogato in grassa cioccolata. Mi chiesi dove il filo si fosse interrotto. Riallacciavo una memoria dissipata fra fiori esotici. Dopo la mia vita fu un arto infetto. Un sibilo di gloria inesistente che non riuscii ad amputare. Si è appoggiato stancamente sino ad oggi, fra le pagine di un racconto dimenticato. Una gialla copertina. Un delirio di pietra, che consumo immobile fra i banchi d’un mercato.
L’odore di piscio sale dall’asfalto. Comincia in una ferita non chiusa. Un ponte abbattutto, la povertà che dilaga fra le macerie. Salgo sui pedali fra nigeriani che gridano senza collera. I detriti mi soffocano. Sono in un buco. Qui ha inizio la città abbandonata. Il fallimento di un progetto. Si colora di stanchezza irrisolta. Mi dice che non sopravviverò alla pelle di questo fumo. E’ una tregua che sa di morto imbarazzo. Cosa dirò alla carta che corre sugli occhi chiusi? Le parole sono sempre d’avanzo. Il fiume scorre, ma da qui non ci si può tuffare. Vaneggio in soffitta.
Ci siamo ritrovati in una ridotta di mattoni. Siamo rimasti ad ascoltare. Per parlarci abbiamo atteso il rito del pellegrinaggio sulle ginocchia di un uomo. Ci sono sere rare, in cui le persone si incrociano come i raggi di una ruota di bicicletta. Il perno dura un istante. Poi ognuno torna per la sua strada. Chi a scrivere davvero, chi ad accudire un archivio. L’uno a muovere fili dell’inchiostro, l’altro a dispensare raggi di luce. Il terzo no, lui è doppio: parla di questo e di quello. Ha le idee chiare, ma è vittima di se stesso. Rimonta in bici.