La scrittura è nuda mammella. Mi ci attacco di nascosto, impaurito e non visto. La consumo prima di spegnermi. Mi risveglio immemore nel suo letto. Non dura a lungo, ma basta a risvegliarmi. Poi la giornata continua sola, desolata. Nega l’orgoglio della penna. E’ una bicicletta senza ruote confitta nell’erba. L’estate mi ammorba lo spirito. Ribolle di sangue immoto fra palpebre ingessate. Mi dice che il più è passato. Si acconcia l’inizio di un mondo nuovo. Corre veloce, ma qualche attimo lo fermerò. Sarà tempo rubato alle persone. Ennesimo tradimento di me stesso. E così godo fugaci abbracci. Furtive poppate.
Posts Tagged ‘Borgo Dora’
Sconosciuto clamore, affetto diffuso. Ritrovo gli occhi assopiti di un velo dissepolto. Un amico viene, litiga con i miei sconosciuti. Il freddo spezza le catene. Muoviamo stanchi fra pareti sbrecciate. Il fiume si nasconde sotto gli argini, il ferro lo copre. Echi settanteschi affabulano gli imberbi. Immagini rotte colano da una parete obliqua. Riscopro facce perdute, corro passi dimenticati. Il piacere lontano del suono. Vergini si immolano alla mediocrità, posso soltanto contemplare. Lucro e diverto: riemergo, cerco aria. Mi fermo. Ho riconosciuto il suo viso. E’ un bacio, soltanto un buffetto. La accarezzo con un frammento di celluloide. Io amo.
Cuspide viola. Alba digiuna. La città si muove di respiri coatti. E’ una futile lite. Un immenso conflitto sotto un sole nudo. La terra si rivolge di sabbie umide. Ciminiere dissepolte invocano una pena divina. Piaghe sanguigne corrodono budella infami. Occhi ispanici sorridono di inerzia. Il ferro piegato dei sogni mi ricorda una promessa tradita. Trascorro ore confuse. Mi abbandono distratto in un caldo imbrunito. Attendo amici dispersi raccogliersi sotto i miei occhi. Lunghe discussioni. Olio corrotto di farine pesanti. L’impossibilità irraggiunta della condivisione. Vorremmo parlare al mondo, ma ci riduciamo in tre. Diciamo scontate scempiaggini. Eppure, ci vogliamo bene.
Sognamo di arricchire. Ermanno si liscia la pancia mormorando. Gustavo mi guarda con maggiore disillusione. Una bottiglia di grappa ferma sul tavolo esprime la dura sentenza. Non vogliamo lavorare per tutta la vita. O meglio, stiamo cercando un senso in ciò che facciamo. Dubbi fiscali, certezze contrattuali. Sospinti dal sogno cerchiamo la nostra nicchia. Ormai, non resta che questo. Trovare uno spazio residuale. Chiudersi nel silenzio irrequieto di un proprio microcosmo. Nulla di materiale. Per vivere bisogna vendere idee. E su tutto un dubbio: essere sconfitti dalla mediocrità. Sarebbe meglio aprire un bordello cinese. Non resta che arrendersi. Resteremo poveri.
La testa fa male. Si apre sotto il peso di un martello che irrompe picchiettante tra le ossa. Ecco: s’è riempita di una molle pioggia di immagini. E’ stanchezza ininterrotta che impedisce la muta pace del sonno. E si consumano dispersi movimenti in un cervello instabile. Rigurgita sangue, sospira di tormento escrescendo luoghi scomposti. Senza volontà sibila singulti di tremante memoria. Come per soffocare. Ora sono muti disegni. Ma diverranno agonie di volontà sotto le palpebre chiuse. Mi risveglierò con la voce strozzata. La sete immobile taglierà occhi colmi di sudore. Impossibile desiderio di vomitare sogni su ferite non chiuse.
Lite furibonda. In un Paese che muore. Parole lette su un giornale. Un lamento inutile. Meneghino, siciliano. Continuano a fottere. Io sono ansia cresciuta nel grembo materno. Una mela cade dal tavolo. E’ caldo attorno. La luce scolora nel pomeriggio che scorre. Senza concentrazione. Con un malcelato senso di rimpianto per ciò che è stato. Ciò che non ho fatto. Volontà di distruggere. Non scrivere, cancellare. E dormire in silenzio. Fra gli autobus che passano irregolari. Sotto il vento mosso di una tenda rotta. Vorrei sporcarmi con la terra di un orto. E poi strisciare inerme. In fondo al mare.