Posts Tagged ‘Corso Francia’

Torino funziona ancora

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Torino funziona ancora. Nelle alberate dei viali, lungo i corsi in cui traffico scorre invecchiato. Sugli autobus che portano borghesi piccoli e impoveriti al lavoro. Sui gradini delle botteghe di periferia, dove un ubriaco si siede a bere un cartoccio di vino. Noi torinesi siamo fabbriche. A dispetto di tutto, la comunità di immigrati vecchi e nuovi che abita qui continua ogni giorno a chiedersi quale sia il suo dovere. Impoverendosi, la città per ora ha saputo reggere al disastro. Il dolore con un sussulto di dignità resta privato. Per avere un futuro non basta, ma la tempra è forte.


Una volta c’era

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Sotto casa di Arpino ci andammo a mezzogiorno. Una donna uscì trafelata dalla scuola, ma quando ci vide si fermò. Si allungò oltre le staccionate divelte, cominciò a raccontare sullo sfondo di molli immondizie. L’epopea del capitalismo illuminato le era rimasta sulla pelle, sin da quando – bambina – nel villaggio Leumann era nata e cresciuta. I due corpi di case costruiti ai lati del cotonificio, le bealere che separavano l’abitato dai campi. Una chiesa cattolica dall’architettura protestante, un teatro sottoposto a benevola censura. E uno spaccio in cui consumare una moneta a circolazione interna. L’innovazione sociale. Una volta c’era.


Pista ciclabile fantasma

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Pista ciclabile fantasma. E’ da qualche mese che mi chiedo quale forma avrà la ciclabile di Piazza Statuto. Senza venirne a capo. L’altro giorno – passando per caso da via Garibaldi – ho notato alcune auto ferme in mezzo alla pista. Ho pensato che fossero parcheggiate abusivamente. La pista, appena tracciata, gli era nato attorno. Quasi un blitz: una striscia che taglia in due la piazza, esponendo tuttavia i ciclisti a grossi rischi. L’impressione è che chi disegna le piste ciclabili non usi la bici. Immagino che ci sia buona volontà, ma continuiamo a scontare una forte mancanza di pianificazione.

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->Ignorate le piste ciclabili<-


La memoria di un giorno

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Polvere di sangue si stacca dai rami. Una paraplegica attraversa un solco non scritto. Tre motociclette sbuffano impotenti. Uno straniero si perde alle pendici del borgo. Io sono la voce di un’amica che dorme. Mi fermo su tetti iridescenti di lacrime azzurre. Una stanza nascosta socchiude palpebre viola. Il maldestro sguardo di un cameriere violenta una silenziosa intimità. Le sedie si trascinano pigre. Sembrano trattenere inutilmente un futuro già scritto. La memoria di un giorno. Un volto celtico attraversato da bagliori musicali. La volgarità lambisce i contrafforti della coscienza. Non so ancora come, ma ci difenderemo. Nel frattempo restiamo insieme.


Vuote epifanie dissolte

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Io sono l’ostinazione di chi cerca, la volontà di ricomporre un disegno spezzato. Non posso lasciarmi vivere: ho bisogno di costruire. Gioco con le ferite, ignoro le infermiere. Voglio essere un vecchio pronto a morire ogni giorno. E non mi fermerò sino a quando questa città non sarà cambiata. Ho bisogno che le persone si risveglino. Voglio vedere la vita rinascere e spegnermi in un luogo diverso. Aspetto che Torino sia solcata dal mare. Invoco i terremoti perché spazzino via la nostra noia. Un giorno forse ci riscopriremo per quello che siamo. Barbari assopiti, arcangeli di pietra. Vuote epifanie dissolte.


Un uomo taglia l’erba

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Il vento secca la pelle. Un caldo improvviso ha guastato il sonno dei mediocri. Io emergo dal letargo grattandomi il naso. La città è asfalto scuro, bagnato da labbra aperte. Mi avventuro spento fra la luce immutata del vecchio quartiere. Un uomo taglia l’erba. Ciminiere rotte, sabbie addossate a tubi ostruiti. Giardini aperti, un buco nel muro. Gli occhi accesi di una donna sola. Alberi disegnati sulle pareti di una scuola. I bambini giocano con le pagine. Non trovo più i libri. Un amico chiama. Lascio il Novecento in una lacrima assopita. Torno vomitando, sulle spalle del nostro tempo ingrato.


Per un pezzo di pane

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L’ignoranza si assiepa fra le lamiere. E’ uno sguardo borioso che cola sotto la pioggia. Si avvolge fra gli echi volgari di un microfono. Fa da contrappunto materiale all’eterea volgarità del principe. Quello parla in uno scenario napoleonico, questo si accontenta di raccontare menzogne agli stolti. Ha nemici ovunque, non recede. Si insinua maliziosa contro corrente. Diventa dominante, norma assoluta. Bisognerebbe spaccarle la testa a frustate. Ma non servirebbe a nulla. Si cura lentamente. Forse occorreranno secoli. Intanto cresce figli grassi, inconsapevolmente effemminati, razzisti al contrario. Puttane vanitose delle idee. Pronte allo stupro della libertà. Per un pezzo di pane.

_ankor - This one is different because it's us

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