Un mattino ti svegli e decidi di documentare un breve viaggio. Da Torino a Santo Stefano Belbo. Cesare Pavese lo faceva fumando. Chiedi a chi ti segue di suggerirti un hashtag. @AsinoMorto sceglie. #LaStrada. L’autobus tarda, la metro ingoia. Il treno manca e fai il barbone in libreria con Fernanda Pivano. Lungo la ferrovia la pianura si spacca, torna collina e mammella. Ci si attaccano contadini e immigrati, ucraine e polentoni. Ad Asti osservi la neve in un deserto. La quiete dei filari, un monumento ai caduti. @antonioprenna te lo racconta. La terra ci parla: ma noi, come la interpretiamo?
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Beppe non capiva. Provò a spiegarmelo, ma io ancora non li vedevo. Mi voltai, li sentii camminare nel padiglione. Colle armi e gli scudi. Rimasi stordito, incredulo: poi li seguii all’aperto. C’era tumulto, un fumo disperso e soffocante. Salii in alto, sul ponte levatoio. Era folla e ressa, gli armigeri abbracciati in una bocca di cemento. Serrati e soli, gli inermi non erano più di cinquanta. Uno era rimasto a terra. Aveva esposto un manifesto di dissenso, lo avevano ripagato con un colpo alla testa. La rabbia del manganello. Chiesi a Dio di liberarci, ma lui non sapeva da che.
Alla fermata del 4, una nigeriana parla colla moglie italiana di un tunisino. Discutono della politica commerciale di una compagnia aerea: in Africa si carica di tutto, ma in Italia ti fermano per poco. La nigeriana si spazientisce perché il tram non arriva, ma l’altra la invoglia a fermarsi. Quando le porte si aprono sui binari, salgono entrambe. In mezzo a loro una guardia giurata sgomita con il telefono all’orecchio: rutta in romanesco portando una mano sulla pistola. Il giustiziere sfida con occhi ingialliti la corruzione del convoglio. Una vecchia grida. Il ricircolo dell’aria condizionata impasta fetori, contro il governo.
Asfalto deserto d’alba. Mute nigeriane immobili davanti a un semaforo. Torino è un volto del Maghreb fermo sotto la lapide di un partigiano. Le ruote tagliano un viale spoglio. I giri del motore si arrampicano solitari lungo l’ombra densa di un centro commerciale. Oggi non comprerò il giornale. Mi accontenterò di leccare gocce d’acqua lambite dalla ruggine. Vagherò in cerca del terzo paesaggio. I segreti si perdono sulle rotaie. Il colore candido di un verso slavo. Un tunnel che si apre fra foglie morte. Poi là, oltre il fumo, mille macerie ricostruite. Sono gli occhi di Italia. Un’edera di rabbia.
Se il principale azionista di Fiat ha deciso di fare a meno dell’auto e di investire il proprio patrimonio in altri luoghi o settori, dovrebbe dirlo chiaramente. La presentazione dei nuovi vertici aziendali, che sembrano ridurre l’Italia ad uno dei tanti mercati del gruppo Fiat-Chrysler, e la vaghezza del piano Fabbrica Italia, di cui ancora non si conoscono i contenuti concreti di investimento, fanno pensare che Torino non sia più nel cuore di questa azienda. Ora, poiché la famiglia Agnelli è qui, sarebbe utile sapere che intenzioni ha. Il futuro ha da essere senza Fiat? Bene, allora. Ricominciamo a inventarlo.
Torino trasuda rabbia. E’ ressa sui binari fra mendicanti e piccioni. Odore di piscio sotterraneo. Caotico risuonare di clacson e insulti. Un raro sole terso la soffoca. Polvere di ferro vola dalle ginocchia in su. Mi sento proiettato a metà in un film muto. Sogno un’estate degli anni Sessanta, alberi ammassati nel cortile di un giardino. Un sorriso si spegne nell’inchiostro di una ricevuta. Cammino all’alba verso Est. A Lingotto riscopro un’identità esausta e sola. Entro in un bar. Nessun oggetto, poco cibo. Bottiglie antiche rimaste a metà. La disperazione timida su un viso meridionale. Il cemento disseccato della periferia.
Ombra trasecolata di una morte elettrica. Albore stesso della decadenza. Rincorsa volontà di argenteo disincanto. Sono figlio di un secolo ucciso. Non posso gioire completamente. Il cammino si spezza fangoso sul cerchio di una macchina. Lì è sepolta una fatua memoria, il coltello insanguinato della volontà. Scrivere, significare. Senza desiderio. Impossibile piangere sui titoli di coda. Fabbricare emozioni per credere in se stessi. Seno perduto sotto una lampadina fulminata. Filo di tungsteno ormai reciso. Attraversa il vuoto per farsi raccogliere. Scava sotto la pelle. Cerca un’anima straniera. Nasconde il disprezzo. Sopporta l’arroganza. E’ sonno disfatto d’alcool. Un amico senza volto.