Posts Tagged ‘Mirafiori’

Entrai grattandomi il naso

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Entrai grattandomi il naso. Le pellicce giacevano dimenticate sugli attaccapanni. Un’inglese mi sorrise mentre usciva dal bagno. Gli stucchi dorati carezzavano le foto di un noto ricettatore. La fiera dell’assurdo cominciò su un piedistallo. Era il panegirico di una padre imberbe e volgare. La pretesa di comandare fingendo un piglio libertario. Io provai a concentrarmi su una pozza rossa di vino. Ma cigolava pazzo alle mie spalle, come un cappio: il richiamo violento dell’ordine borghese. Mi ricondusse sui vecchi passi. Indeciso fra fuga e debolezza, mi risolsi a guardare altrove. E a mangiare cogli occhi nel piatto di un altro.


Sic Fiat Italia

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E’ stato emozionante vedere il film di Daniele Segre al Torino Film Festival. Sic Fiat Italia. La presenza del regista è discreta. A parlare sono le persone. Sono colte nella tensione dialettica che precedette il referendum di Mirafiori del 14 gennaio 2011. A favore o contro. E’ in questa semplicità la forza del film. Un pezzo di granito che sbriciola le ambivalenze della politica. Restituisce dignità a quei giorni, facendone affiorare il senso storico. E’ la cronaca di una sconfitta, non c’è dubbio. Ma la ricontestualizza nel dramma di questi anni e, per questo stesso motivo, tratteggia una speranza.


Anziane vergini contromano

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Sbucano nella nebbia. Alzano lo sguardo troppo tardi. Non hanno contezza di dove sono. Vanno piano, sono meteoriti immobili. Fumano dal tubo di scappamento. Consumano il cambio fra prima e seconda. Vanno dal medico. Si fermano nei mercati. Parlano al telefono. Strepitano contro tutto. Cercano parcheggio dentro la Chiesa. Anziane vergini contromano. Sono le mine antiuomo del traffico urbano. Non si azzardano ad avvicinare il centro. Girano incoscienti nello stesso sobborgo. Sognano di investire cani e fuggire. Lontane, oltre la volgarità di un macello. Le vedremo un giorno in televisione. Morte in un inseguimento da fiction poliziesca. A ruote sgonfie.


E ora dormirò

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E ora dormirò. Raccoglierò le ceneri del giorno in una coltre di polveri secche. Solleverò una lacrima interrotta. Poi ricomincerò, ripulirò la città dalle folate di rabbia che l’hanno sepolta. Andrò alla ricerca di quella vecchia auto. Credo che fosse una Fiat 131. Sì, era un vecchio modello dipinto di giallo. Appariva misteriosamente ad ogni svolta pericolosa. Mi ha sempre sfiorato, non è mai riuscita a seppellirmi. Lo sento, il suo lamento. E’ la voce esausta di una clandestina che partorisce in una fabbrica abbandonata. Il quartiere non conta: la periferia è dentro. Non smetterò di pensare a te, Italia.


Come allora

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Il professor Luciano Gallino aveva ragione: l’idea che a Torino si potessero assemblare i suv – i cui motori sarebbero prodotti in Messico – per esportarli negli Stati Uniti, era insostenibile. Oggi appare per quello che era, un espediente per prendere tempo. Per Mirafiori si prospettano lavorazioni a basso valore aggiunto. FIAT sta disinvestendo dall’Italia. Se è così, sarebbe meglio ripetere immediatamente il trauma del 1865, quando Torino perse il ruolo di capitale. Si chiuda subito. Non verseremo tempo e denaro in una azienda finita. Sosteniamo economicamente operai e impiegati. Inventeremo più in fretta lavori e imprese nuove. Come allora.


Noi dobbiamo respingerlo

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L’appello all’indignazione dei Torinesi, formulato in questi giorni da Giorgio Airaudo, mi ha ricordato la Palermo del 1992. La Mafia aveva appena ucciso Giovanni Falcone, sollevando – inaspettatamente – la coscienza civile della città. Il 13 giugno, nella Chiesa di San Giuseppe ai Teatini, una folla di donne e uomini recitò una preghiera nuova: “Ci impegnamo a non chiedere come favore ciò che ci è dovuto per diritto”. Io dico che la manovra economica ci serve come il pane. Ma il provvedimento che legalizza a posteriori gli accordi di Pomigliano e Mirafiori, infilato senza motivo nel provvedimento di legge, è assolutamente ingiusto. Noi dobbiamo respingerlo.


Ricominciamo a inventarlo

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Se il principale azionista di Fiat ha deciso di fare a meno dell’auto e di investire il proprio patrimonio in altri luoghi o settori, dovrebbe dirlo chiaramente. La presentazione dei nuovi vertici aziendali, che sembrano ridurre l’Italia ad uno dei tanti mercati del gruppo Fiat-Chrysler, e la vaghezza del piano Fabbrica Italia, di cui ancora non si conoscono i contenuti concreti di investimento, fanno pensare che Torino non sia più nel cuore di questa azienda. Ora, poiché la famiglia Agnelli è qui, sarebbe utile sapere che intenzioni ha. Il futuro ha da essere senza Fiat? Bene, allora. Ricominciamo a inventarlo.