Eleonora mi aggredisce pensosa. Odia un uomo. Lo accusa con parole volgari. Tradisce il desiderio di amare. Veste un’aggressività meschina. Non la sapevo tanto violenta. Si nasconde fra le debolezze di un amico. Racconta opache menzogne. Rivela un astio minaccioso. Cercherà vendette notturne. Si racconta con vergogna. Costruisce un dialogo impossibile. La incoraggio senza convizione. La superficialità percepita vorrebbe farmi ammutolire. Il sonno incombe, paralizza la contemplazione di un futuro morto. Il caotico fumo della noia la accarezza. Una pungente umidità ne scolora il trucco. Nasconde fra occhi sabbiosi uno zolfo luciferino. Implora una tradita missione di piacere, poi piange.
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Anche io, come Diego Novelli, sono deluso dalla posizione dell’Assessore all’Urbanistica: dopo che la Sopraintendenza ai Beni Architettonici ha ‘bloccato’ la costruzione di un palazzo di sette piani accanto alla Mole Antonelliana, Ilda Curti si è detta esterrefatta. Perché? Tutti vogliamo che quel crocicchio sia più bello. Bene, confrontiamoci. Coinvolgiamoli, i privati. Prima proposta: trasformiamo tutta l’area in isola pedonale. Seconda proposta: chiudiamo in una bolla di vetro le spoglie del Teatro di Torino, per farne una scuola di arte multimediale. Terza proposta: in via Riberi costruiamo una boutique, piccola e bassa, in cui espongano i migliori architetti della città.
Molle delirio. Strabismo angosciato. Si annida sepolto nel buio. E’ un circolo seduto. Parole vane. Flebili sussurri. Preghiera rivolta al passato. E’ rotto da un pianto infantile. Si colora di brandelli viola. Racconta timori di catastrofe. E’ orgoglio ricomposto in finta vergogna. Una confessione che non concedo. Mi chiedo chi davvero se la meriti. Non riesco a nascondere i pensieri. Negazione del principio. Sonno incombente. Si incammina pensosa sotto i portici. Ha il sapore di un dolce non consumato. Sferraglia fra le braccia di una tramviera procace. Mi abbandona in un angolo buio. Scivolo nell’abisso, e riemergo ad inizio secolo.
Eri morto da grande vecchio. La neve cadeva per piangerti. Ci ritrovammo a bere vino. Era impossibile non ricordarti. La città sprofondava fra le braccia di eroi americani. Ci infilammo esangui in un prisma di celluloide. Trasformava James Stuart nell’ombra ridicola di Alberto Sordi. I tuoi mascalzoni erano la trasfigurazione bonaria di ciò che non avremmo potuto essere. La rivoluzione è culturale. Le guerre è meglio raccontarle che viverle: c’è più da imparare che da piangere. La solitudine non conta. Poco importa, se alla fine un tassista non si ricorderà di te. Tu sei i nostri giovani. Ci manchi, Mario.
Spingiamoci oltre. E’ troppo poco costruire un doppio palazzo di sette piani accanto alla Mole Antonelliana. Copriamo con una immensa colata la Mole stessa. Trasformiamola in un parallelepipedo di cemento armato. Sono sicuro che il Comune di Torino ci guadagnerà una montagna di oneri di urbanizzazione. E’ geniale: spianiamolo tutto, riempiamo il centro barocco di cubi di ferro. Una bella periferia sovietica nelle storiche vie di Guarini, Juvarra e Antonelli. Già che ci siamo, io coprirei e asfalterei anche il Po. Facciamoci sopra una sopraelevata di acciaio, poi non se ne parli più. Continuiamo a scavare. Babele raggiunga il cielo.