Posts Tagged ‘Pozzo Strada’

Tornarne all’altezza

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Sul crinale dell’alba l’alito delle montagne si stende nei parchi deserti. E’ quiete annoiata. Risveglio delicato di impiegati e operai. Le case non sono perfette; si guardano distratte, pallidamente uniformi. Eppure hanno un senso. Le strade diritte, le piante frapposte. Gli invecchiati giochi dei bimbi sulla piazza. Le scuole, i bassi caseggiati degli edifici pubblici. Ti fermi, ci pensi. E allora ti ricredi. Rifletti sulla bontà anonima dei secondi anni Settanta. Mentre i brigatisti mettevano a ferro e fuoco la città, qualcuno in silenzio la sapeva amministrare. Dobbiamo riscoprire quell’esperienza. Capirne gli errori, ma tornarne all’altezza.


Vuote epifanie dissolte

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Io sono l’ostinazione di chi cerca, la volontà di ricomporre un disegno spezzato. Non posso lasciarmi vivere: ho bisogno di costruire. Gioco con le ferite, ignoro le infermiere. Voglio essere un vecchio pronto a morire ogni giorno. E non mi fermerò sino a quando questa città non sarà cambiata. Ho bisogno che le persone si risveglino. Voglio vedere la vita rinascere e spegnermi in un luogo diverso. Aspetto che Torino sia solcata dal mare. Invoco i terremoti perché spazzino via la nostra noia. Un giorno forse ci riscopriremo per quello che siamo. Barbari assopiti, arcangeli di pietra. Vuote epifanie dissolte.


Per un pezzo di pane

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L’ignoranza si assiepa fra le lamiere. E’ uno sguardo borioso che cola sotto la pioggia. Si avvolge fra gli echi volgari di un microfono. Fa da contrappunto materiale all’eterea volgarità del principe. Quello parla in uno scenario napoleonico, questo si accontenta di raccontare menzogne agli stolti. Ha nemici ovunque, non recede. Si insinua maliziosa contro corrente. Diventa dominante, norma assoluta. Bisognerebbe spaccarle la testa a frustate. Ma non servirebbe a nulla. Si cura lentamente. Forse occorreranno secoli. Intanto cresce figli grassi, inconsapevolmente effemminati, razzisti al contrario. Puttane vanitose delle idee. Pronte allo stupro della libertà. Per un pezzo di pane.

_ankor - This one is different because it's us

->_ankor – This one is different because it’s us


Uomini senza carta

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La scatola parlante riesuma la faccia dimenticata di Breznev. Scendo per strada sotto il primo sole. Il quartiere è deserto. I calcinacci cadono. Il sonno ottenebra tutto, persino la lenta salita alla cella. Mi confino nel lamento della spina dorsale. Una morta agonia chiama da lontano. Sgorga immensa e inaudita da un carcere finto. Non ospita delinquenti, ma semplici migranti. Uomini senza carta. E’ scivolata fuori dalla carne. Si presentano nudi, come corrotti da uno sporco macellaio. Arrivano talvolta a cucirsi la bocca per denunciare il loro forzato silenzio. E i giornali non ne parlano: devono rincorrere i politici locali.


Rotta poesia puttana

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Gambe nascoste in un blocco di granito. Voglia d’acqua. Velo di ghiaccio. Fari sull’asfalto lunghi. Lontane città. Carezza di petrolio. Bocce di melassa. Profumo di frutta. Cesto fiorito. Ultima palude. Fuga nel vuoto. Sponda di cemento. Smossa polvere. Profilo spiato. Piedi confitti. Sale sputato. Segno abbagliato. Velo bianco. Spalle impietose. Loquace trasparenza. Innocenza spiata. Nudo enigma. Foglia ingiallita. Irrequieto trofeo. Subdola espiazione. Imprigionato desiderio. Perfetta solitudine. Ultima pagina. Indescritta emozione. Memoria del mondo. Brevissimo soffio. Trascinato lamento. Desiderio di carne. Veste di fumo. Sporco pretesto. Arancio, marrone. Stile impeccabile. Spazio finto. Coltre spenta. Rotta poesia puttana. Buio veleno non rappresentato.


Finalmente ero libero

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Lasciai Torino quando scoppiò la guerra civile. Avevo fame, ero disoccupato e per combattere ero troppo vecchio. Convinsi le mie figlie che un giorno mi avrebbero raggiunto al di là del mare. Partii di sera, in treno. Cercai di confondermi con i soldati che muovevano verso Sud. A Napoli mi nascosi nei pressi del porto. Gli scafisti della Camorra ci chiamarono il giorno dopo. Ci infilarono in un container, come sottaceti in un barattolo. Arrivammo a Tunisi all’alba. Era stato un viaggio massacrante, ormai ce l’avevamo fatta. Finalmente ero libero. Di essere segregato in un centro di identificazione ed espulsione.