Archive for June, 2011

Ho vinto?

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Polvere, confuso ribollire di pagine. Macchine rotte, sguardi svogliati. Vecchi cassetti di legno coperti di muffa. Screpolature scolorite. Attendo la molle risalita dei volumi dall’angusto magazzino librario. Il vento spazza la città. Ha gli occhi congelati. Arricciati sussurri di pelle accesa. Un sorriso tremante. Il rumore assordato di uno squarcio adirato. Inciampo sul selciato. Cerco un sole che non scalda. Affondo annoiato in altre carte. Desidero soltanto diventare vecchio. Liberare il tempo nell’ozio. Dimenticare il sangue versato nel desiderio. La fatica assoluta. Il ribelle conato del vivere. Il volto impenetrabile dell’abbandono. Un abbraccio non ricevuto. Un nome dimenticato. Ho vinto?


E ci si sveglia soli

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Una moglie bella non si risparmia battute infelici. E’ drammatico. La misura dell’incoscienza. L’inammoramento non è che momentanea follia. Un’idea che si annida sotto pelle e trascina dietro di sé infinite giustificazioni. Sino a quando ciò appare incomprensibile. E ci si sveglia soli. Con i figli che crescono. E una sconosciuta accanto. Lui si allontana. Lei si guarda attorno ed apre un telefono. Nasconde ciò che è troppo evidente. Salva l’apparenza, ma affoga lasciva in un desiderio incontenibile. Lui sorride, mostra una sicurezza imbecille che significa afflizione. Eppure, non manca di nobiltà. Nega la realtà, perché ama i suoi figli.


Accade talvolta

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Accade talvolta. Che il gesto di un solo uomo incarni la volontà di un popolo. Contro questa immagine, il potere non puo’ nulla. Avrà vinto la sua battaglia, ma pagherà il prezzo del dubbio che cresce nelle sue maglie. Il nudo passeggio di Turi Vaccaro per fermare l’inizio dei lavori del Tav in Val Susa è la risposta più bella alla violenza della polizia e a quella di alcuni manifestanti. E’ su questo filo sottile che corre irrequieta la speranza: sono in buona fede sia l’Unione Europea sia il Movimento No Tav. Ora rinunciare alla violenza è il dovere di tutti.


Trascorro ore confuse

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Cuspide viola. Alba digiuna. La città si muove di respiri coatti. E’ una futile lite. Un immenso conflitto sotto un sole nudo. La terra si rivolge di sabbie umide. Ciminiere dissepolte invocano una pena divina. Piaghe sanguigne corrodono budella infami. Occhi ispanici sorridono di inerzia. Il ferro piegato dei sogni mi ricorda una promessa tradita. Trascorro ore confuse. Mi abbandono distratto in un caldo imbrunito. Attendo amici dispersi raccogliersi sotto i miei occhi. Lunghe discussioni. Olio corrotto di farine pesanti. L’impossibilità irraggiunta della condivisione. Vorremmo parlare al mondo, ma ci riduciamo in tre. Diciamo scontate scempiaggini. Eppure, ci vogliamo bene.


La piazza era gremita

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Era il giorno della caduta. Ma il tiranno rimase al suo posto. La piazza era gremita. Seggiole rotte, cataste di ossa. Una barricata di libri. L’altoparlante chiamava i deputati al voto. Ogni nome una sfida all’immaginazione. Il boato dei servi raggelò di silenzio la folla. Consumammo un pomeriggio solitario. E ci ritrovammo a sera. Altro luogo, freddo opprimente. Musica improvvisata. Una penisola di giornali incollati. Parlarono in tanti. Dedicammo molto tempo a riallacciare rapporti. Ad unirci dopo tanto silenzio. Mi sentivo un albero secco. Lacrimavo oppresso dal dubbio. Qualcuno si avvicinò. Mi confuse con parole modeste. Riaccese le mie speranze.

Palazzo Carignano

->Fabrizio Zanelli – Palazzo Carignano


E’ un albero di pietra

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Lacci emostatici, materassi capovolti. E’ un albero di pietra, il crepuscolo gotico di un cartone giapponese. Un cubo di terra inghiotte vagabondi eccentrici. Giganti di sterco. Immagini mosse di una terra sconosciuta. Finto fuoco fra borghesi sussurri. Legno colorato, pagine non lette. Mi inerpico colmo di nausea su marmi abissali. Devo chiudere la sospensione notturna fra facce amiche. Hanno il sapore rubato di una fornace di sabbia. Si rinchiudono rabbiose fra i ferri rotti dell’estrema periferia. Il deserto è un vento idiota. Condanna impietosa di vane promesse politiche. Nel buio contano solo gli incubi. Talvolta, poi, anche le perdute carezze.


Scendo sottoterra

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Terra accumulata lungo il fiume. Voragini polverose soffocano le tenebre. Le ruote rimbalzano fra strappi di metallo. Accalcano pneumatici su pietre di fango. Il caos avvolge effluvi d’alcool. Mi fermo a contemplare un immacolato ceppo di insalata. Scendo sottoterra. Le note gracchiano fra colonne rosse. Giovani occhi si accalcano sotto un palco. Affogo l’imbarazzo in una birra. Infiniti strati di vernice disegnano gli anni che ho consumato. Una voce cristallina risuona di antiche memorie. Lo sguardo scorge un lontanissimo amico. Lo abbraccio senza ricordarne il nome. Non abbiamo parole da dirci, ascoltiamo insieme. Sembianze incazzate e mute di perduta giovinezza.